Due chiacchiere con Diego Estebo

È appena uscito Cosa posso fare io? il secondo libro illustrato per l’infanzia (e il primo edito in Italia) scritto e illustrato da Diego Estebo.

Approfittiamo dell’occasione per fare due chiacchiere con Diego!

Cosa posso fare io Booktrailer

 

Ciao Diego, allora, cominciamo dal principio: hai iniziato come graphic e web designer, ti occupi anche di branding e, ovviamente, di illustrazione! Dove ti senti più a tuo agio? In quale di questi settori ti diverti di più e in quale è invece più difficile esercitare e far emergere la tua creatività?

Mi sentirò sempre più a mio agio nell’illustrazione, anche se per me entrambe le discipline, il design e l’illustrazione (non il disegno), sono parte della stessa questione: mettere la propria creatività al servizio di un’idea, sia essa un prodotto o una storia, ma senza dubbio come illustratore mi diverto di più, il margine di libertà è molto più ampio. Tuttavia, il graphic design continua a interessarmi parecchio e a influenzarmi come illustratore, diciamo che i due ambiti si alimentano a vicenda. Sicuramente, mi riesce più difficile essere un web designer, perché se non si hanno competenze di programmazione, come nel mio caso, sei soggetto a quello che il programmatore stabilisce si possa fare o meno, è molto frustrante, perciò mi sono allontanato da questo settore anni fa.

Ci parli un po’ delle tue ispirazioni? Quali sono i libri della tua infanzia? E i giochi preferiti? E quali sono oggi gli autori e gli illustratori che ami di più e che trovi stimolanti?

Forse quelli che ricordo di più sono i libri “El Barco de Vapor” (“Il battello a vapore”), molto popolari in Spagna (lo sono ancora). Si tratta di una collana composta da quattro serie e rivolta a diverse fasce di età di lettori a partire dai 4 anni: prima la serie bianca, poi quella blu, arancione e infine rossa. Sono libri che ti accompagnano nella crescita e che costituiscono un’importante parte delle prime letture di diverse generazioni. Ricordo anche di aver iniziato a scoprire i fumetti con autori come Ibáñez, Escobar o Jan, leggevo anche quelli che riguardavano adattamenti di classici della letteratura e più tardi ho iniziato ad appassionarmi ai fumetti dei supereroi.

Da bambino amavo soprattutto giocare con i giocattoli: Playmobil, He-Man, G.I. Joe… Ricordo che ero particolarmente fissato per le Tartarughe Ninja, le avevo tutte, adoravo le serie di cartoni animati, le disegnavo… Erano le mie preferite, mi piacciono ancora molto.

Attualmente gli autori che ammiro e che mi ispirano di più sono senza dubbio Beatrice Alemagna e Jon Klassen, naturalmente ce ne sono molti altri, loro però mi sembrano essere una spanna sopra chiunque altro, non solo dal punto di vista grafico ma anche per il tipo di storie che raccontano.

Cosa Posso Fare io

Hai vissuto a Madrid e oggi abiti a Pontevedra, giusto? Come influenza il tuo lavoro il luogo in cui vivi?

Il luogo in cui si vive ha un’influenza su tutti gli aspetti della vita, ma è molto difficile per me dire concretamente come il vivere in un luogo o in un altro incida sul mio lavoro. Credo che vivere in una città piccola e tranquilla come Pontevedra mi permetta di sviluppare i progetti in modo più tranquillo, di avere meno distrazioni e soprattutto di essere più in contatto con la natura.

 I tuoi viaggi artistici in India, Sudamerica hanno suscitato la nostra curiosità… ci parli del progetto Codes e del tuo “alter ego” Tebo? Quanto questa esperienza ha alimentato il tuo desiderio di dedicarti anche a libri illustrati per bambin* e ragazz*?

Tebo è il mio soprannome, un diminutivo del mio cognome. Come Tebo firmo i miei lavori che non rientrano nel campo dell’illustrazione e del graphic design, ossia quelli come artista visivo.

Più o meno nel 2014 ho iniziato a sperimentare il collage e ho cominciato a provare una forte attrazione per l’arte astratta. Mi sono emancipato dal bisogno di dimostrare che “Io so disegnare”, tanto che ho praticamente smesso di farlo per diversi anni.

Nel 2016 l’agenzia per cui lavoravo ha chiuso, così ho deciso di investire quello che avevo risparmiato per fare delle residenze artistiche: prima in Spagna, poi in India, in Bolivia e infine in Argentina, dove sono rimasto per un anno e mezzo lavorando anche in un’altra agenzia. Qualche tempo dopo ho fatto una residenza artistica anche al Museo d’Arte Contemporanea di Roma. È proprio durante queste residenze che ho sviluppato il progetto Codes, il cui obiettivo è quello di sintetizzare gli aspetti locali che attirano la mia attenzione in qualcosa di simile a segni fittizi, un linguaggio grafico che si adatta a ogni luogo. In quegli anni ero davvero molto consapevole di come l’ambiente influenzasse il mio lavoro. Sebbene questi segni non abbiano un significato preciso, visivamente e concettualmente sono legati al luogo in cui sono stati sviluppati, quindi per comprenderli lo spettatore avrà bisogno di reperire informazioni su quel determinato luogo, in poche parole, essi sono dei veri e propri codici. Ho potuto osservare e analizzare il paesaggio, l’architettura, i mezzi di trasporto, le tecniche pittoriche, gli alfabeti… È stato un periodo che mi ha estremamente arricchito e che, dopo dieci anni di vita a Madrid, mi ha permesso di uscire letteralmente dalla mia zona di comfort.

Tutto ciò che faccio come Tebo ha influenze nel mio lavoro di illustratore e viceversa, infatti se si osservano entrambi gli aspetti è facile trovare delle somiglianze. È quello che dicevo riguardo al superamento della necessità di dimostrare di saper disegnare bene attraverso l’astrazione, ho continuato ad applicarlo anche quando sono tornato a occuparmi di illustrazione. Prima il mio stile era molto diverso, usavo i pennelli per realizzare i miei disegni con un tratto ben definito, erano molto più stilizzati, ora non mi interessa se sembra che non sappia disegnare, anzi, mi piace disegnare “un po’ male”, come se stessi facendo degli schizzi di getto, credo che così venga fuori una certa vulnerabilità che mi permette di mostrarmi in modo più sincero e di entrare più facilmente in connessione con il lettore. Quindi l’esperienza di Codes ha influenzato nel profondo il mio modo di lavorare come illustratore per bambine e bambini.

Come e quando inizia esattamente il tuo processo creativo? E come arrivi a quel libro che può essere presentato per una proposta editoriale?

La spinta iniziale di solito arriva così, come una scintilla: all’improvviso mi viene un’idea, per un libro o per qualsiasi altro progetto, mentre sto facendo tutt’altro. Nuotare o camminare velocemente (sono un uomo di una certa età, non corro) sono due buoni momenti per avere ispirazioni. È davvero molto raro che l’idea mi venga mentre la sto cercando. Quando capita perciò, la scrivo su un quaderno, con un titolo indicativo e qualche nota sommaria. A seconda di quanto mi sembra fattibile in termini di difficoltà, possibilità editoriali, ecc. le attribuisco una priorità più o meno alta. La maggior parte di queste “scintille”, ovviamente, non va oltre le prime note.

Di solito quando inizio un progetto preferisco dedicarmi soltanto a quello e non fermarmi finché non l’ho finito. Salvo se si tratta di una proposta che sto pensando per una determinata casa editrice, realizzo qualche pagina e la invio, anche se per me non è il massimo, perché può passare molto tempo tra l’invio della proposta e l’effettiva realizzazione del progetto, e faccio molta fatica a tornare al punto in cui mi trovavo quando ho realizzato le prime pagine.

I tuoi libri hanno sempre un messaggio positivo come risultato di un incontro tra il sé e l’altro, l’individualità e la collettività, i limiti che ci imponiamo e una realtà che, se guardata dalla giusta prospettiva, apre nuovi orizzonti possibili. I tuoi libri potrebbero essere dei manifesti, sono molto potenti. 

Be’, grazie mille. Cerco di fare in modo che i miei libri parlino di problemi con un linguaggio che raggiunga bambine e bambini, ma che si rivolga anche agli adulti. E in un certo senso sono stimoli anche per me stesso.

Quali sono le tematiche che più ti stanno a cuore e che senti più urgenti in questo momento?

Valori come il legame con la natura, l’empatia o la prospettiva di genere mi sembrano importanti, la sfida è trasmetterli senza cadere nel paternalismo. Per me, l’obiettivo principale in questo momento è creare storie che intrattengano e facciano divertire bambine e bambini, che li interessino per davvero.

 

Cosa posso Fare Io

Cosa posso fare io?  – siamo felicissimi che tu ce l’abbia proposto e che sia un inedito – ci parli del libro?

Ne sono molto entusiasta. In questo libro affronto due questioni contemporaneamente: l’importanza di ognuno di noi come parte di un gruppo e l’importanza di far parte di quel gruppo, perché come scrivo nella dedica “ci vogliono in solitudine, saremo moltitudine”. Questa citazione è l’incipit di un manifesto che è stato letto al centro sociale Patio Maravillas di Madrid, che poco dopo è stato sgomberato a causa delle politiche neoliberiste che da anni vengono portate avanti nella città. Quello che ho detto sopra vale anche per questo libro: è anche stimolo per me stesso, dato che sono una persona che, pur con una coscienza politica, tende all’individualismo.

Forse è strano parlare di queste tematiche nel contesto della letteratura per ragazze e ragazzi, ma mi sembra che l’una e l’altra cosa non si escludano a vicenda.

Grazie mille Diego!